La necessità di ottenere nuova finanza attraverso il canale bancario, al fine di superare situazioni di crisi, ha spinto la prassi ad utilizzare gli strumenti finanziari partecipativi non solo per rafforzare la struttura patrimoniale e finanziaria della società, ma anche per garantire il finanziamento concesso con l’attribuzione di diritti che consentano alle banche un maggiore controllo sulla gestione delle società finanziate.
La riforma del 2003 ha introdotto nel nostro ordinamento i c.d. “strumenti finanziari partecipativi” (di seguito “SFP”). Con tale istituto il legislatore ha consentito, prima alle S.p.A., poi alle Start Up Innovative e PMI Innovative[1], “di emettere, a favore di soci o terzi, a seguito di apporto anche di opera o servizi, strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti (soci per le start up e PMI innovative, costituite in forma di S.r.l.)”. La finalità originaria degli SFP era quella di consentire il rafforzamento della struttura patrimoniale e finanziaria delle società, offrendo ad esse un nuovo canale di finanziamento attraverso l’attribuzione, in cambio di nuove risorse, di diritti patrimoniali e amministrativi, la cui individuazione è liberamente rimessa all’autonomia privata.
In assenza di una predeterminazione normativa, è rimessa all’autonomia negoziale, a seconda delle peculiarità del caso, la combinazione tra diversi “diritti amministrativi” e “diritti patrimoniali”, più o meno dotati di natura partecipativa. Da tali premesse emerge subito la peculiarità degli SFP, rappresentata dalla loro duttilità a prestarsi alle più variegate esigenze, in quanto privi di una causa tipica, il cui contenuto è determinato, di volta in volta, dalle scelte negoziali in funzione degli obbiettivi perseguiti. Per le ragioni di cui sopra, sebbene la finalità originaria fosse stata quella di agevolare la crescita delle imprese, l’attuale crisi economica, rendendo più difficoltosa la concessione di nuova finanza da parte delle banche, senza idonee garanzie, ha condotto la prassi ad utilizzare gli SFP quali strumenti per fronteggiare fasi patologiche, rivelandosi, in tal caso, un’interessante soluzione al servizio di piani di risanamento di imprese in crisi. Con l’istituto in questione, infatti, gli istituti di credito possono negoziare i propri finanziamenti con maggiori garanzie di monitoraggio sulle operazioni di risanamento e con maggiore controllo sulla gestione della società.
Per poter qualificare gli strumenti finanziari “partecipativi”, occorre che da essi derivino diritti patrimoniali a favore del soggetto titolare, mentre è facoltativo che essi siano dotati di diritti amministrativi.
Gli SFP rappresentano strumenti a forma libera, nei quali la società emittente indica gli apporti che riceve, i valori ad essi attribuiti, i diritti connessi e, eventualmente, le regole di circolazione, caratterizzandosi per essere una forma intermedia tra gli strumenti di debito e gli strumenti di capitale, in quanto, la loro emissione non comporta un versamento avente natura di capitale sociale e, conseguentemente i sottoscrittori non acquistano la qualifica di soci, ma non si qualificano nemmeno quali strumenti di debito, potendo non prevedere alcun obbligo di rimborso a fronte della loro emissione.
Venendo al possibile utilizzo di tali strumenti nelle operazioni di ristrutturazioni delle imprese in difficoltà, finanziariamente esposte verso le banche, in estrema sintesi, possono manifestarsi le seguenti due modalità di utilizzo:
- l’erogazione di nuove risorse finanziarie da parte di istituti di credito a titolo di apporto, quale corrispettivo per la sottoscrizione di SFP;
- la sottoscrizione di SFP da parte di istituti di credito, mediante compensazione del debito da apporto con i crediti degli stessi già vantati.
Le due operazioni sotto indicate si differenziano nelle modalità di realizzazione dell’apporto, ma producono lo stesso risultato in termini di creazione di uno strumento in grado di incidere, tramite la titolarità di SFP, nella gestione della società debitrice, con la possibilità di esercitare potere decisionale per il tramite di soggetti di nomina bancaria e nel beneficio arrecato alla società emittente, oggetto di risanamento, mediante la diminuzione delle voci di debito del passivo, con l’aumento del patrimonio netto, laddove l’obbligo di rimborso non sia integralmente garantito.
Riguardo quest’ultimo profilo, particolarmente importanti risultano le modalità e l’ordine attraverso cui le perdite possano intaccare il diritto al rimborso e/o la riserva costituita a seguito dell’apporto con emissione di SFP.
Se infatti si preveda che, in caso di perdita, le riserve in essere e/o il diritto di credito vantato dai titolari di SFP siano intaccate prima delle altre riserve e del capitale, il vantaggio dei soci risulta molto elevato e il creditore bancario potrebbe essere poco allettato alla sottoscrizione. Diversamente, qualora il credito e/o la riserva derivante da SFP siano esposti alle perdite solo dopo l’assorbimento di tutte le altre riserve, compresa quella legale, si verificherebbe un effetto opposto, di scarsa appetibilità per i soci, senza dimenticare l’esigenza di disciplina anche riguardo l’eventuale postergazione dei crediti derivanti dagli SFP rispetto ai crediti preesistenti e/o successivi alla loro emissione.
Tutti i suddetti temi assumono rilevanza al momento della valutazione sul da farsi, tenendo presente che è opinione ormai condivisa che i diritti patrimoniali ed amministrativi riconosciuti a favore degli SFP possono anche persistere ed essere indipendenti dalla permanenza in essere della riserva costituitasi a fronte dell’apporto e/o dalle sorti del credito sottostante.
Per quanto riguarda i diritti amministrativi collegabili agli SFP, oltre a quanto espressamente previsto dall’ultimo comma dell’art. 2351 c.c., il quale prevede che possa essere riservato, ai titolari di SFP, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco, potrebbe ipotizzarsi il diritto di nomina del CFO, oppure l’istituzione della figura del Chief Restructuring Officier, cui venga affidato un ruolo determinante nelle decisioni gestionali, successive all’approvazione del piano di ristrutturazione. Inoltre, è possibile individuare altri specifici diritti di carattere amministrativo, in larga misura, equiparabili a tutti quei diritti esercitabili dagli stessi azionisti, parificando le due categorie di soggetti, quali il diritto di intervento nelle assemblee, il diritto di essere previamente informati sugli argomenti all’ordine del giorno, per poterli esaminare e discutere anche prima dell’assemblea, oltre ai diritti di impugnazione delle delibere assembleari; nonché diritti di controllo, quali quello di denuncia di gravi irregolarità, ai sensi dell’art. 2409 c.c.; diritti di informazione, quali quello di disamina dei libri sociali, di visione del progetto di bilancio e delle relative relazioni prima dell’assemblea, di preventiva visione dei progetti di fusione o di scissione, etc.
In conclusione, ampia è la gamma dei diritti, patrimoniali e amministrativi, che lo statuto può attribuire ai titolari di SFP, in un’ottica di bilanciamento di interessi, tra i diversi soggetti coinvolti nell’operazione, al fine di garantire il successo dell’eventuale operazione di ristrutturazione aziendale, ma altrettanto vari sono i profili di complessità e criticità, da valutare e disciplinare, al fine di garantire un utilizzo appropriato degli SFP, con riferimento al caso concreto.
[1] La riforma organica del diritto delle società del 2003 aveva introdotto tale figura limitatamente per le S.p.A., tuttavia, l’art. 26, comma 7, del DL n. 179/2012 ha consentito, prima alle Start Up Innovative e, poi, alle PMI innovative (art. 4, comma 9, D.L. 5/2013) la possibilità di emettere strumenti partecipativi.