L’accesso al capitale rappresenta un’attività necessaria per ogni tipologia di impresa, tuttavia per le imprese di piccole dimensioni e in fase di avvio esso è un tema che riveste un ruolo particolarmente delicato in grado di incidere sullo sviluppo e sulla permanenza sul mercato dell’impresa stessa.
È noto, infatti, che un’impresa per crescere, svilupparsi ed emergere ha bisogno di capitale, per cui occorre che sappia come reperirlo e con quali strumenti.
Il tema dei finanziamenti ha rappresentato a livello legislativo, negli ultimi anni, una delle materie più attive e, inoltre, è stato oggetto di particolare interesse per il mondo delle start up, le quali sono, per definizione, imprese giovani, di piccole dimensioni e caratterizzate dalla presenza di requisiti di innovatività.
Le considerazioni di cui sopra devono, però, tenere conto dei preoccupanti dati emersi in un Discussion Paper della Consob del 7 settembre 2017, i quali mostrano che le società quotate registrano tassi di crescita nettamente superiori rispetto alla non quotate, di per sé più piccole in termini di fatturato, investimenti e occupazione, attribuendo la causa di tale disparità alle maggiori difficoltà, incontrate dalle società più piccole, ad accedere a nuove risorse finanziarie.
Nondimeno, le piccole imprese incontrano, nel loro percorso di crescita, difficoltà ad accedere ai tradizionali canali di reperimento di risorse finanziarie, come quello bancario, che è da sempre più incline a concedere finanziamenti ad imprese già ben avviate e con un modello di business tradizionale (diversamente dalle imprese nascenti, con idee innovative e poco conosciute dal mercato).
Poste queste premesse e venendo all’analisi delle singole fonti di finanziamento, la prima grande distinzione da fare è quella tra finanziamenti in equity e finanziamento a debito: la prima modalità permette di reperire risorse attraverso l’ingresso di nuovi soci e la conseguente emissione di nuove quote e/o azioni, la seconda, invece, consiste nel reperimento di risorse attraverso prestiti di capitale da parte di terzi che poi vanno restituiti o, come spesso capita, convertiti in equity a specifiche scadenze e/o al verificarsi di particolari eventi.
Di seguito si analizzerà la percorribilità delle diverse forme di finanziamento da parte di terzi (o strumenti di ricorso al capitale di credito) e l’evoluzione che questi strumenti hanno conosciuto anche alla luce dei significativi cambiamenti avvenuti in ambito economico-finanziario, normativo e tecnologico.
Per quanto riguarda il sistema economico-finanziario si sta assistendo, negli ultimi anni, ad un allontanamento dal tipico rapporto banconcentrico che ha caratterizzato il nostro sistema, in modo prevalente, fino al periodo pre-crisi.
Oggi, considerata la tensione emersa nella raccolta di capitale attraverso il credito bancario, le imprese valutano, sempre più spesso, la possibilità di accedere a forme di finanziamento alternative rispetto a quelle tradizionali e, in primo luogo, a quello bancario.
Con riferimento, invece, al mutato contesto normativo, il Decreto Crescita (D.L. 179/2012, convertito con L. 221/2012) ha introdotto una disciplina particolarmente favorevole allo sviluppo di nuove forme di finanziamento, permettendo alle start up di aprirsi al mercato finanziario. Sotto tale profilo, si deve ricordare che la possibilità di emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi (escluso il diritto di voto nell’assemblea dei soci) a fronte dell’apporto dei soci o di terzi (art. 26, comma 5, L.221/2012 e ss.mm.), segna l’avvio di un processo di avvicinamento delle piccole imprese al mercato finanziario.
Le novità legislative di cui sopra hanno, quindi, permesso di offrire alle imprese una vasta gamma di strumenti, prima solo appannaggio di poche e ristrette imprese di grandi dimensioni.
La tecnologia ha, poi, un ruolo cruciale, attraverso lo sviluppo di nuove modalità di strutturazione, prestazione e distribuzione dei servizi finanziari, tutte riconducibili al fenomeno del c.d. fintech.
Come evidenziato nell’ambito del Quaderno di ricerca Consob circa lo sviluppo del fintech, tale termine indica, in modo indistinto, un insieme di società accomunate dallo sviluppo di attività basate su nuove tecnologie informatiche e digitali, che vengono applicate in ambito finanziario.
Una delle principali aree in cui le società di fintech stanno sviluppando i propri servizi è quella che riguarda il debt financing, che include i prestiti e l’acquisto di titoli di debito, il cui funzionamento verrà meglio descritto infra.
Il ricorso a forme di finanziamento a debito può, a determinate condizioni, risultare più vantaggioso rispetto agli strumenti di ricorso al capitale di rischio (finanziamento in equity) e comportare notevoli vantaggi per due ordini di ragioni:
- evita che, nella fase iniziale di un’impresa, l’ingresso in società di nuovi soci possa determinare la diluizione della partecipazione dei soci fondatori;
- evita di procedere ad una valutazione dell’impresa, operazione necessaria in caso di ricorso a finanziamento in equity, ma di difficile realizzazione in società nuove e prive di un mercato ancora ben definito.
Passando ad analizzare il mercato della finanza a debito per le start up, oggi, le forme di finanziamento maggiormente utilizzate sono le seguenti:
- minibond: si tratta di titoli obbligazionari con scadenza nel medio lungo periodo, emessi da imprese italiane, in particolar modo, di piccole dimensioni. La normativa di riferimento è contenuta nel D.L. 83/2012 (art. 32, comma 26), convertito con modificazioni dalla L. 134/2012, il quale ha modificato l’art. 2412 comma 5 del codice civile. La nuova disciplina ha esteso alle società non quotate diverse dalle banche e dalle micro-imprese la possibilità di emettere obbligazioni anche in deroga al limite quantitativo di cui all’art. 2412 del codice civile (limite corrispondente ad una somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato), a condizione che questi titoli siano negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione. I minibond possono essere emessi da società che abbiano un fatturato maggiore di 2 milioni di euro all’anno, almeno 10 dipendenti e, se costituite in forma di S.r.l., con uno statuto che includa la possibilità di emettere titoli di debito e il cui bilancio abbia ricevuto l’approvazione da parte di una società di revisione. In sintesi, esse sono obbligazioni agevolate che permettono a società non quotate di aprirsi al mercato dei capitali, riducendo la dipendenza dal credito bancario;
- convertible note: sono strumenti finanziari nati ed utilizzati soprattutto nel mercato del venture capital americano e non trovano uno specifico corrispondente nel nostro ordinamento, seppur tanti siano, oramai, i tentativi di adattarli anche al nostro sistema. Essi sono titoli obbligazionari emessi dalla società che attribuiscono al loro titolare il diritto di ottenere il rimborso del capitale dato in prestito o il diritto di conversione in azioni o quote della società emittente.
Le figure che nel nostro ordinamento più si avvicinano a questi strumenti sono i titoli obbligazionari convertibili e gli strumenti finanziari partecipativi (di seguito, “SFP”). Per quanto riguarda i primi, si tratta di una particolare forma di obbligazione che assegna ai suoi titolari il diritto di convertire le obbligazioni in una o più azioni e/o quote della società emittente, fermo restando che nelle società costituite in forma di S.r.l. (ossia la forma più utilizzata dalle start up italiane), l’art. 2483 del codice civile impone che detti titoli “possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società medesima”.
L’obbligo di sottoscrizione da parte di investitori istituzionali rappresenta un freno al loro utilizzo quale strumento di finanziamento.
Diversamente dalle obbligazioni convertibili, gli SFP riescono ad adattarsi efficacemente alla struttura e alle finalità dei convertible note, in assenza del limite dell’obbligo di sottoscrizione da parte di investitori istituzionali.
Gli SFP sono, infatti, strumenti ibridi, non qualificabili come azioni né come obbligazioni, sebbene la loro emissione e relativa sottoscrizione attribuisca diritti amministrativi di voice e diritti patrimoniali, potendo prevedere la possibilità di convertirli in equity a determinate scadenze e/o al verificarsi di specifici eventi. Ciò, in analogia allo strumento delle convertible note, tipiche delle operazioni di venture capital del mercato nord-americano;
- convertible loan: è uno strumento in grado di dotare la società di nuove risorse, al pari di convertible note, quindi, senza intaccare il capitale sociale. I convertible loan, così come gli SFP convertibili, consentono di rendere l’investimento di terzi in società più agevole, in quanto posticipano la valutazione della start up. Essi sono investimenti eseguiti da investitori a favore delle start up, le quali potranno restituire il capitale ad una determinata scadenza o convertire il debito in equity. I convertible loan si caratterizzano per essere semplici contratti di finanziamento (e non titoli di debito, questa è la differenza rispetto ai convertible note), negoziati tra privati, che ne disciplinano il processo di conversione e le relative tempistiche;
- lending-based crowdfunding: sono piattaforme on-line che consentono alle imprese di ottenere finanziamenti da potenziali investitori. Inizialmente potevano svolgere tale attività solo i soggetti autorizzati da Banca d’Italia ad operare come intermediari finanziari ex 106 del TUB; solo in seguito, con il D.L. 11/2010, è stata concessa tale possibilità anche ad operatori provenienti da settori non finanziari, se rientranti nella categoria degli Istituti di Pagamento ex art. 114 septies del TUB.
Da ultimo, Banca d’Italia, con Delibera 584/2016, ha disciplinato la raccolta di risparmio da parte di soggetti diversi dalle banche, con lo scopo di offrire una prima forma di regolamentazione delle forme di finanziamento alternative a quelle bancarie.
In particolare, per quanto qui di interesse, la sezione IX della Delibera ha descritto il lending based crowdfunding, come “uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme on-line, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto”.
La delibera, peraltro, puntualizza che l’operatività dei gestori dei portali on-line che svolgono attività di lending based crowdfunding (“gestori”) e di coloro che prestano (“finanziatori”) o raccolgono (“prenditori”) fondi tramite i suddetti portali è consentita nel rispetto delle norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti, esplicitando, a questo proposito, quali attività possano essere svolte dai gestori e dai prenditori senza incorrere nel divieto di raccolta di risparmio tra il pubblico;
- invoice trading: consiste nella cessione di una fattura commerciale in cambio di un anticipo in denaro. Queste operazioni avvengono per mezzo di piattaforme on-line e non rappresentano un vero e proprio strumento di ricorso al capitale di credito, bensì una forma di smobilizzo di un’attività, anche se, in concreto, assolvono ad una funzione di reperimento di capitali attraverso un ingresso anticipato di cassa.
Le piattaforme che si occupano di tale attività mettono in contatto imprese che richiedono finanza e investitori.
La remunerazione dell’investitore è data dalla differenza tra il prezzo di acquisizione del credito e il corrispettivo in fattura. Di solito la cessione della fattura, che avviene in anticipo rispetto alla sua normale scadenza, avviene ad un prezzo pari a circa il 90% dell’importo indicato nella fattura stessa;
- direct lending: è un’attività che ha conosciuto un certo sviluppo anche in Italia, poiché trainata dal mondo fintech. Essa consiste nell’erogazione di credito da parte di soggetti non bancari, di solito fondi di investimento che forniscono prestiti a medio lungo termine. È un’attività disciplinata in Italia, da ultimo, con il D.L. 18/2016 recante “misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio”. Il decreto stabilisce le modalità operative per la concessione di prestiti da parte dei Fondi di Investimento Alternativi (FIA), italiani ed esteri. In particolare, l’art. 17 ha modificato gli artt. 46-bis, 46-ter, 46-quater del TUF, stabilendo che sia i FIA italiani che esteri sono soggetti alle disposizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con la clientela e alla relativa disciplina sanzionatoria, secondo quanto indicato nel TUB.
Alla luce di tutto quanto precede, è essenziale che una start up si avvalga del supporto di professionisti in grado di orientare lo sviluppo della società verso forme di finanziamento efficaci, anche in considerazione delle esigenze e della fase di avanzamento in cui la stessa si trova. Inoltre è importante il supporto di professionisti anche nella fase di redazione statutaria, per poter disciplinare in modo “sartoriale” clausole e/o piani di regolamentazione di strumenti finanziari.