Il decreto di attuazione della direttiva comunitaria Atad ha introdotto, all’art. 162-bis del Tuir, una nuova definizione di holding industriale (rectius, nel testo normativo, “società di partecipazione non finanziaria e assimilati”) da non sottovalutare nell’operatività delle società proprietarie di partecipazioni di elevato valore.

Con il decreto attutivo Atad è stata introdotta una nuova definizione di holding industriale, o meglio “società di partecipazione non finanziaria e assimilati”, definita quale società che esercita in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari. Perché tale attività possa essere definita prevalente, l’ammontare complessivo delle partecipazioni detenute in soggetti non qualificabili quali intermediari finanziari e gli altri elementi patrimoniali intercorrenti con i medesimi soggetti, in base ai dati di bilancio dell’ultimo esercizio, deve essere superiore al 50% del totale dell’attivo patrimoniale.

La qualifica di holding industriale incide sensibilmente sulla disciplina a cui tali società debbano sottostare, essendo previsto un regime che si può, atecnicamente, definire a cavallo tra quello proprio delle società commerciali e quello degli intermediari finanziari.

Come per le società commerciali, le società di partecipazione non finanziaria devono redigere il bilancio secondo i criteri previsti dal D.Lgs 139/2015, sono soggette ai limiti di deducibilità degli interessi passivi e delle svalutazioni sui crediti, di cui rispettivamente agli artt. 96 e 106 Tuir, e nei loro confronti non trova applicazione l’addizionale Ires del 3,5%, prevista per banche ed intermediari finanziari.

Ai fini IRAP, tuttavia, risulta applicabile l’aliquota del 4,2%, salve ulteriori maggiorazioni regionali, prevista (anche) per le banche e gli intermediari finanziari, ed è stabilito un regime ad hoc per la determinazione della base imponibile, dovendosi aggiungere al risultato, determinato con le ordinarie disposizioni previste per gli enti commerciali, la differenza tra gli interessi attivi e passivi.

Le holding industriali sono, inoltre, soggette a specifici obblighi comunicativi, nei confronti dell’anagrafe tributaria, trattati più nel dettaglio infra.

In verità, la disciplina di cui sopra non risulta modificata sostanzialmente dal decreto attuativo Atad, che, tuttavia, nell’introdurre la nuova definizione, oltre ad aver riordinato la normativa in materia ed aver eliminato refusi dovuti alla stratificazione di norme succedutesi nel tempo[1], ha, in parte, modificato il suo ambito di applicazione, verosimilmente ampliando lo spettro dei soggetti qualificabili come holding industriali.

Infatti la previgente normativa richiedeva la presenza di un duplice requisito, ossia, che dette società possedessero partecipazioni, in via esclusiva o prevalente, in società esercenti attività diversa da quella creditizia e finanziaria e che la prevalenza venisse verificata sulla base dei dati di bilancio dei due esercizi precedenti, dovendo risultare,  l’ammontare degli elementi dell’attivo di natura finanziaria, superiore al 50% del totale dell’attivo patrimoniale e, contemporaneamente, l’ammontare dei ricavi prodotti dagli elementi dell’attivo di cui sopra ed alcune altre attività finanziarie, superiore al 50 per cento dei proventi complessivi.

Ora, invece, la definizione espressa dall’art. 162-bis Tuir fa esclusivo riferimento al requisito patrimoniale, ossia della prevalenza delle partecipazioni in società non finanziarie, e degli “altri elementi patrimoniali” intercorrenti con le medesime partecipate (che, tuttavia, potrebbero derivare, non solo da rapporti finanziari, ma anche da attività commerciali quali, a titolo esemplificativo, la prestazione di servizi intercompany[2]), assumendo come riferimento i dati di bilancio del solo, ultimo, esercizio.

Ciò potrebbe comportare l’inclusione di alcune società, precedentemente escluse, nel novero di quelle a cui risulta applicabile la disciplina delle holding industriali, potendosi oltretutto verificare la paradossale situazione, in cui una subsidiary industriale, con un non marginale impiego di personale e cospicui ricavi commerciali, che abbia, però, limitati attivi inseriti a bilancio, ma un discreto numero di partecipazioni in altre società, con le quali intrattenga molteplici rapporti, possa essere qualificata, grazie all’applicazione del solo criterio patrimoniale, sulla base dell’ultimo bilancio di esercizio, come “società di partecipazioni non finanziaria” e non, invece, come solo semplice impresa industriale, come sarebbe accaduto, applicando anche il precedente criterio reddituale.

Le più rilevanti conseguenze, per le neo-definite società holding non finanziarie, sarebbero la sottoposizione al particolare regime Irap di cui sopra, con le relative implicazioni in tema di base imponibile ed aliquota maggiorata e l’obbligo di comunicazione all’anagrafe tributaria dei rapporti continuativi  e/o delle operazioni di natura finanziaria intrattenuti con le partecipate e con altri soggetti[3].

La violazione di detto obbligo comunicativo è specificamente punita con la sanzione amministrativa da Euro 2.000 a 21.000, che, oltretutto, potrebbe essere posta a carico non solo della società, ma anche nei confronti del legale rappresentate della holding che abbia omesso l’adempimento (non trattandosi di sanzione di natura tributaria).

Senza dimenticare che le società holding possono, in determinati casi, essere soggette a specifici obblighi comunicativi di carattere internazionale. In ottemperanza al FACTA le società, che soddisfino determinati requisiti, sono tenute a comunicare all’Amministrazione finanziaria statunitense (IRS), per il tramite dell’Agenzia delle Entrate, tutti i dati dei rapporti finanziari, oltre una determinata soglia, intrattenuti con cittadini statunitensi. Un adempimento simile è previsto, inoltre, dal decreto legislativo n. 29 del 2014 che, attuando la direttiva comunitaria n. 2014/107, ha implementato anche in Italia il CRS (ossia, il Common Reporting Standard nato in sede OCSE). Quest’ultimo, in estrema sintesi, è un sistema di scambio automatico di informazioni fiscali tra i Paesi aderenti e può, essenzialmente, essere definito come la versione multilaterale del FACTA.

Qualora i soggetti obbligati venissero meno ai loro obblighi comunicativi è prevista, in entrambi i casi, l’applicazione medesima sanzione amministrativa, già citata, da Euro 2.000 a 21.000, e, per quanto riguarda il rapporto con l’IRS, qualora la violazione non fosse sanata in un periodo di 18 mesi, la società inadempiente assumerebbe la qualifica di “non partecipante”, così subendo un prelievo del 30% su qualsiasi pagamento di fonte statunitense.

Ciò detto, pur rientrando, in termini generali, le società holding tra quelle soggette agli obblighi comunicativi di cui sopra, sia la normativa FACTA, sia quella CRS, avendo ad oggetto le operazioni poste in essere attraverso entità qualificate come finanziarie, non paiono interessare le holding industriali, poiché:

Quella delle holding è dunque materia da trattare con grande attenzione, poiché l’evoluzione normativa potrebbe non aver portato ad una semplificazione e ad un integrale chiarimento dei profili incerti, anzi.

[1] La previgente normativa Irap, invero, definiva quali holding industriali le società per cui sussisteva l’obbligo di iscrizione nell’elenco dei soggetti operanti nel settore finanziario, ai sensi dell’art. 113 TUB. Tuttavia, essendo, tale elenco, stato soppresso nel 2010, si era creata una situazione di notevole incertezza, che vedeva contrapposte due differenti linee interpretative, una accolta dalla dottrina maggioritaria e parte della giurisprudenza e una dall’Amministrazione finanziaria, su quale fosse la corretta nozione di holding industriale.  Detta incertezza interpretativa è stata ora risolta dal decreto attuativo Atad, che ha adeguato le disposizioni in materia di Irap alla nuova definizione di cui all’art. 162-bis Tuir.

[2] Sul punto, tuttavia, non vi è uniformità interpretativa.

[3] Si noti che potrebbe esserci una discrasia sui rapporti oggetto degli obblighi di comunicazione all’Amministrazione finanziaria e quelli invece rilevanti ai fini della sussistenza o meno del requisito di prevalenza. I primi sono esclusivamente i rapporti di natura finanziaria, mentre i secondi sono rappresentati da qualsiasi elemento patrimoniale sussistente tra la holding e le società controllate.