Il Codice della Crisi di Impresa dell’Insolvenza, nel delineare il nuovo sistema di allerta e prevenzione, ha delegato, con la previsione di cui all’art. 13, co. 2, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti all’elaborazione di indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa, in presenza della quale sorgono obblighi di adozione e attuazione che l’ordinamento mette a disposizione dell’imprenditore in vista del superamento della crisi stessa e del recupero della continuità aziendale[1].
Il CNDCEC ha, pertanto, con il documento pubblicato in data 19 ottobre 2019, proposto una serie di indici, i quali sono ora al vaglio del Ministero dello sviluppo economico per la loro approvazione. Appare opportuno in primis evidenziare che trattasi di un sistema di indici di tipo gerarchico per il quale gli indici medesimi vanno applicati secondo un determinato ordine e uno in subordine dell’altro. Unitamente al generale indicatore di crisi individuato in reiterati e significativi ritardi nei pagamenti, sono stati enucleati due indici applicabili a tutte le imprese e cinque indici di settore.
Il primo indice di crisi, applicabile appunto a tutte le imprese, è integrato allorquando l’impresa riporti un patrimonio netto negativo, ovvero, per le società di capitali, inferiore ai limiti di legge.
Per il caso in cui il patrimonio netto sia positivo ovvero superiore ai limiti di legge, occorre verificare, mediante una valutazione prognostica, la sostenibilità della situazione debitoria dell’impresa nei successivi sei mesi di esercizio. A tal fine si deve fare riferimento al debt service coverage ratio (DSCR), ovvero al rapporto tra tutte le entrate di liquidità previste nei successivi sei mesi e le uscite previste per rimborsi di debiti finanziari nello stesso arco temporale. Allorché tale rapporto sia inferiore a 1, è ragionevole presumere lo stato di crisi dell’impresa, purché gli organi di amministrazione e di controllo ritengano affidabili i dati prognostici.
Qualora il DSCR non sia disponibile o non sia ritenuto affidabile per l’inadeguatezza dei dati prognostici, trovano applicazione cinque indici con valori soglia differenziati per settori economici, il cui congiunto superamento fa ragionevolmente presumere lo stato di crisi.
I detti cinque indici sono:
- indice di sostenibilità degli oneri finanziari in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato;
- indice di adeguatezza patrimoniale, in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali;
- indice di ritorno liquido dell’attivo, in termini di rapporto da cash flow e attivo;
- indice di liquidità, in termini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine;
- indice di indebitamento previdenziale e tributario, in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e l’attivo.
In linea con quanto previsto al summenzionato art. 13, il CNDCEC ha altresì previsto specifici indici di crisi per le imprese che si trovano in situazioni che non permetterebbero l’applicazione degli indicatori sopra elencati, a titolo esemplificativo, è stato precisato che per le imprese di nuova costituzione (inferiore ai due anni) assume rilevanza il solo patrimonio netto negativo.
Di particolare interesse sono, inoltre, gli indici previsti per le start-up innovative, quest’ultime, infatti sono caratterizzate da un elevata percentuale di insuccessi derivanti dal notevole grado di rischio da cui sono esse stesse connaturate. Del resto, è di comune dominio come siano caratterizzate da risultati di esercizio tendenzialmente negativi e che, pertanto, una buona parte del loro successo dipenda dalla capacità di ottenere risorse finanziarie (sia dagli stessi soci, dalle banche, da intermediari o attraverso i nuovi sistemi di finanziamento quali i portali di crowdfunding). Per queste ragioni, l’indice di crisi è rappresentato da un DSCR parametrato sul rapporto tra le risorse finanziarie pronosticabili e la liquidità minima necessaria per la prosecuzione dell’attività di studio e sviluppo del progetto.
Da ultimo, appare opportuno evidenziare come l’adozione dei suddetti indici non sia obbligatoria per le imprese. Infatti è lo stesso art. 13, co. 3 del Codice della Crisi di Impresa, a prevedere che qualora un’impresa, per via delle proprie specifiche caratteristiche, non ritenga adeguati tali indici, ne debba spiegare, in nota integrativa, la ragione e, nella stessa sede, debba indicare i diversi indici che ritiene possano far ragionevolmente presumere la sussistenza del proprio eventuale stato di crisi. In tal caso, tuttavia, un professionista indipendente deve attestarne l’adeguatezza.
Tutto ciò posto, pur nell’attesa di una decisione da parte del MISE, è evidente che, per l’implementazione di un assetto organizzativo tale da rilevare gli indicatori dello stato di crisi e di un sistema di controllo che vigili sull’adeguatezza di quest’ultimo, risulteranno fondamentali competenze specialistiche, anche al fine della corretta applicazione e interpretazione degli indici di nuova enucleazione, i quali andranno applicati con particolare attenzione, soprattutto nel periodo di prima vigenza, onde evitare il rischio di cd. falsi positivi.
[1] Al riguardo si vedano i nostri precedenti contributi: link https://www.carmini-law.com/gli-adeguati-assetti-organizzativi-alla-luce-del-codice-della-crisi-e-dellinsolvenza-e-i-modelli-231/ e https://www.carmini-law.com/crisi-d-impresa-e-necessita-di-adeguati-assetti-organizzativi-compatibili-con-il-sistema-italia-il-contratto-di-rete/.