I recenti contributi giurisprudenziali in materia di trust ci impongono di svolgere un’ulteriore analisi sulla disciplina fiscale applicabile a tale istituto, in virtù dell’orientamento che ne è derivato, che sembra aver contribuito ad un epocale cambio di rotta rispetto al passato, aprendo ad un regime fiscale maggiormente attraente.
Come noto, il trust è un istituto diretto a dar vita ad un’entità patrimoniale costituita da un insieme di rapporti giuridici istituiti da un soggetto (il disponente), mediante la creazione di un vincolo di destinazione su determinati beni, posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato. Ne discende che l’effetto che si intende realizzare mediante l’istituzione del trust è quello di produrre una segregazione patrimoniale, per cui i beni conferiti in trust danno vita un patrimonio distinto, separato rispetto al patrimonio residuo del disponente, dei beneficiari e del trustee.
Il trust viene ad esistere per effetto di due attività giuridiche distinte: la prima, è l’istituzione del trust per il tramite di un atto unilaterale attraverso cui il disponente nomina il trustee, dispone il programma e le regole volte al perseguimento di una specifica finalità e designa i beneficiari o le regole per individuarli. La seconda, invece, consiste nel compimento dei c.d. atti di dotazione, ovvero in atti di trasferimento di beni e diritti dal disponente al trustee. Le predette attività si svolgono in momenti diversi e presentano anche natura diversa. Infatti l’atto istitutivo non ha carattere patrimoniale, al contrario, gli atti di dotazione, determinano tutti un’attribuzione patrimoniale. Tuttavia, il trust conosce un ulteriore categoria di atti i quali sono diretti a determinare l’attribuzione finale della ricchezza ai beneficiari, dunque, anch’essi a carattere patrimoniale.
Da tali premesse si comprende che questioni di natura fiscale vengono in rilievo con riferimento ai soli atti aventi natura patrimoniale, potendo, solo in quel momento, realizzarsi il presupposto impositivo che giustifica il prelievo da parte del fisco.
Come anticipato, il 2019 ha segnato un momento di particolare innovazione, dal momento in cui la Cassazione ha dato una categorica svolta alla propria originaria interpretazione sulla imposizione indiretta negli atti di dotazione, non ritenendoli più quale manifestazione di capacità contributiva.
Al riguardo, si osserva che nel corso degli anni, la giurisprudenza è giunta a conclusioni non univoche circa il trattamento fiscale applicabile alla tipologia di atto in commento.
Più in particolare, era discusso quale fosse il regime impositivo dell’atto e se l’imposizione dovesse realizzarsi fin dall’inizio, quindi con il trasferimento dei beni dal disponente al trustee, ovvero solo al momento delle attribuzioni patrimoniali dal fondo del trust al beneficiario
Ciò posto, si segnala che la questione maggiormente controversa sul tema riguarda la corretta applicazione dell’imposta di donazione e successione, reintrodotta nel nostro ordinamento per effetto dell’art. 2 co. 47 D.L. 262/2006, che ne ha esteso la portata applicativa anche alla costituzione di vincoli di destinazione su beni e diritti, incluso il trust.
Invero, l’interesse mostrato dalla giurisprudenza (così come della prassi) sul significato della norma ha dato vita a tre distinti filoni interpretativi, tra cui far rientrare anche quello emerso alla luce dei più recenti interventi giurisprudenziali.
Un primo orientamento, più restrittivo, aderente ad una rigorosa interpretazione letterale della norma, ha ritenuto l’atto di dotazione del trust quale fattispecie a cui segue l’applicazione automatica dell’imposta di donazione e successione. Tale indirizzo infatti stabilisce che l’art. 2, co. 47 D.L. 262/2006 indica quale presupposto dell’imposta la mera costituzione di un vincolo di destinazione, non prescrivendo che l’imponibilità dell’operazione resti subordinata al trasferimento del bene al beneficiario finale. In questo senso si sono pronunciate, tra le altre, la Cass. 3735/2015, Cass. 3737/2015, le quali hanno sottolineato come la norma in esame si connoti per la presenza di presupposti applicativi speciali se opera nell’ambito del trust. Evidenziano, infatti, le sentenze citate che l’imposta è istituita non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come, invece, accade per le successioni e le donazioni, in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale, ma direttamente, ed in sé, sulla costituzione di vincoli. Dunque, il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti dal disponente, anche in assenza di un immediato e concreto effetto traslativo. In questo modo si ritiene espressione di capacità contributiva, non l’arricchimento patrimoniale a vantaggio di un dato soggetto ma, il solo effetto segregativo conseguente al conferimento dei beni in trust. Da ciò ne deriva che il fisco possa pretendere il prelievo sin dall’istituzione del trust e per qualsiasi tipologia di trust.
A fronte di tale orientamento che parrebbe essere minoritario, se ne pone un altro, intermedio, il quale ritiene applicabile l’imposta di donazione e successione ove l’istituzione del trust produca effetti traslativi, dunque, determini un trasferimento di natura patrimoniale a vantaggio di un beneficiario finale. Tuttavia, in aderenza a tale indirizzo, si sostiene che l’imposta in esame debba scontarsi, non per forza nel momento in cui i beni del trust passino ai beneficiari ma anche, in taluni casi, all’atto di dotazione del trust con cui il disponente trasferisca gli stessi al trustee, ma a condizione che sia possibile sin da subito valutare che il disponente abbia avuto la volontà effettiva di realizzare, sia pure per il tramite del trustee, un trasferimento dei diritti in favore del terzo. Quanto precede apre la possibilità di prevedere una tassazione già al momento del conferimento dei beni in trust e non per forza in sede di attribuzione finale al beneficiario (in tal senso, Cass. 734/2019). Questo orientamento, in conseguenza di quanto precede, esclude che possa applicarsi l’imposta di successione e donazione nei casi di trust autodichiarato, posto che quest’ultimo non realizza alcun trasferimento di beni e diritti a favore di terzi.
In termini diversi, si segnala un terzo orientamento (Cass. 29642/2019, Cass. 1699/2019) che ha trovato riscontro nelle più recenti elaborazioni giurisprudenziali. Tale indirizzo ritiene necessario ai fini della tassazione la presenza di un effettivo trasferimento di ricchezza con un’attribuzione patrimoniale stabile. Ne discende che l’imposta di donazione e successione si applicherà soltanto nell’ipotesi di attribuzione in capo al beneficiario finale. Tutto ciò porta ad escludere che l’atto di dotazione in sé sia da ritenere rilevante ai fini fiscali posto che non produce, in nessun caso, un concreto effetto traslativo, neppure quando la trasmissione patrimoniale a favore dei beneficiari sia sin dall’inizio configurabile. La Cassazione, in definitiva, ha ritenuto il conferimento di beni in un trust quale fattispecie non imponibile trattandosi di un atto neutro, non in grado di realizzare un trasferimento di ricchezza suscettibile di tassazione, in quanto atto meramente strumentale ed attuativo degli scopi di segregazione e di costituzione del vincolo di destinazione. Più in particolare, gli atti di dotazione non realizzano alcun incremento patrimoniale a favore del trustee, il quale assume la titolarità del bene ma solo in funzione di attuazione del programma dettato dal disponente, dovendosi considerare realizzato il presupposto impositivo solo con l’eventuale attribuzione del bene al beneficiario.
Nonostante la posizione di favore assunta dalla più recente giurisprudenza, la questione della disciplina fiscale applicabile al trust continua a presentare ampie zone d’ombra ed incertezze, posta la complessità della materia in esame. Il trust, infatti, per le distinte connotazioni che può assumere, porta a rendere impossibile definire un regime tributario unitario, dovendo, di volta in volta, ricostruire la fattispecie impositiva.
Al riguardo, la presa di posizione della giurisprudenza, che ha portato ad escludere la tassazione indiretta all’atto di dotazione, si auspica possa essere confermata anche dall’Amministrazione Finanziaria, così da rendere l’intero quadro compatibile con i fondamentali principi di certezza del diritto e chiarezza normativa e consentire una maggiore trasparenza nelle relazioni economiche.