Nonostante siano trascorsi oltre 15 anni dalla prima introduzione, nel nostro ordinamento, di una importante figura ibrida di finanziamento per le società di capitali, solo recentemente gli Strumenti Finanziari Partecipativi (SFP) hanno suscitato forte interesse.

Merita allora fare il punto su tali strumenti, che trovano la loro principale disciplina nel titolo V del libro V del codice civile e il cui trattamento – tanto da un punto di vista civilistico, quanto sotto il profilo fiscale – offre numerosi spunti di riflessione.

Il merito dell’introduzione di tali strumenti si deve, come detto, al D.Lgs. n. 6/2003, che, al fine di ampliare l’autonomia statutaria delle società, per primo ha consentito la creazione e l’emissione, da parte delle società di capitali, di strumenti finanziari caratterizzati da contenuti più o meno ampi di equity e di debito.

In particolare, da un punto di vista dell’investimento eseguito dal finanziatore, gli SFP possono essere emessi a fronte di:

–    finanziamenti “puri”, cioè apporti di denaro o altri beni, con obbligo di restituzione;

–    apporti atipici (di opere o servizi) non restituibili, né iscrivibili nel patrimonio della società finanziata;

–    apporti di equity, cioè apporti di denaro o beni restituibili, a condizione che la società non abbia registrato perdite.

Attraverso l’emissione degli strumenti finanziari partecipativi è possibile, pertanto, apportare in società, da parte dei soci o di terzi, anche prestazioni d’opera o di servizi, il cui conferimento è, invece, vietato, almeno per le S.p.A., ove retribuito con l’emissione di azioni.

L’unico vincolo imposto dal legislatore è che l’apporto connesso all’emissione dello SFP sia formato da una prestazione avente contenuto e valore economico e non semplicemente morale o affettivo.

Con riferimento alla remunerazione, gli SFP sono forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso però il diritto di voto nell’assemblea generale.

La determinazione del contenuto patrimoniale si presenta libera e svincolata dalla necessità di individuare confini determinati.

A titolo esemplificativo potrà essere riconosciuto:

–    il diritto di partecipazione agli utili di bilancio;

–    il diritto alla remunerazione derivante da un particolare settore della produzione o da uno specifico affare;

–    il diritto alla restituzione del capitale al verificarsi di particolari eventi;

–    i diritti aventi natura di interessi;

–    qualsiasi altra forma di remunerazione, anche aleatoria, dell’apporto effettuato a favore della società.

Per ciò che concerne i diritti amministrativi, lo statuto sociale, ai sensi dell’articolo 2351, comma 5, del codice civile, può dotare tali strumenti finanziari:

–    del diritto di voto su argomenti specificamente indicati;

–    del diritto alla nomina di un membro indipendente del consiglio di amministrazione o di sorveglianza o di un sindaco;

–    di altri diritti amministrativi.

È di tutta evidenza, quindi, che, sotto il profilo civilistico, il rapporto che lega la società emittente e il soggetto sottoscrittore è di natura differente rispetto al vincolo tra la società e la compagine sociale.

Infatti, con la sottoscrizione di tali strumenti rimane comunque esclusa la partecipazione al capitale sociale, il titolare non assume la qualifica di socio e nell’ipotesi in cui il sottoscrittore abbia una partecipazione nella società emittente questa non si incrementa. Inoltre gli SFP, a differenza delle quote di partecipazione, possono essere emessi anche a fronte di apporti atipici.

Nelle prossime settimane si analizzerà la diffusione di tali strumenti attraverso la loro applicazione principalmente alle start up innovative (ad opera del c.d. “Decreto Crescita” del 2012) e il loro trattamento fiscale.