L’art. 32-quater del D.L. 124/2019 (Decreto Fiscale 2020), convertito in Legge n. 157/2019, è intervenuto sul regime fiscale dei dividendi corrisposti alle società semplici, con il fine di porre rimedio al vuoto legislativo venutosi a creare dopo le modifiche normative che avevano interessato le regole di tassazione dei dividendi corrisposti a persone fisiche.

Come noto, infatti, per le società semplici trovano applicazione le stesse regole impositive valevoli per le persone fisiche non in regime di impresa, per le quali il reddito di capitale derivante dalla distribuzione di dividendi è determinato in base ai criteri stabiliti dall’art. 47 del TUIR.

Con l’entrata in vigore della Legge n. 205/2017 (Legge di bilancio 2018), tale disposizione era stata modificata, ponendo fine al regime diversificato in ragione dell’entità della partecipazione detenuta (nel caso di partecipazione qualificata, infatti, i dividendi concorrevano alla formazione del reddito imponibile nel limite del 40% – percentuale incrementata al 49,72% e poi al 58,14% per gli utili prodotti dall’esercizio successivo al 31.12.2007 -, nel caso, invece, di partecipazione non qualificata era applicata una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 26% sull’intero ammontare) e prevedendo, invece, che tutti i dividendi formati e percepiti a far data dal 1.1.2018, scontino una tassazione omogenea, con applicazione della ritenuta pari al 26%.

Tale modifica, per quanto qui di interesse, aveva quindi aperto il dibattito su quale dovesse essere il trattamento fiscale dei dividendi percepiti da società semplici (come detto, disciplinate tramite rinvio al suddetto art. 47) posto che, stante l’assoluta inapplicabilità alle società semplici di ritenuta alla fonte (cfr. Circolare 26/E del 2004), a tali tipi di società le disposizioni di cui all’art. 47 avrebbero dovuto applicarsi limitatamente alle regole di imponibilità parziale dettate per le persone fisiche titolari di partecipazioni non qualificate.

Dopo ondivaghi orientamenti di dottrina (sul punto si veda, Circolare Assonime 17 maggio 2018 e FNC 14 settembre 2014) la questione in esame è stata affrontata dall’Agenzia delle Entrate, la quale, nelle istruzioni al quadro RL del modello redditi SP 2019, ha sostenuto la tesi dell’imponibilità integrale, sebbene abbia mantenuto operativo anche il regime transitorio di imposizione parziale, ma solo per le distribuzioni di dividendi derivanti da partecipazioni qualificate deliberate dal 1.1.2018 al 31.12.2022 e formatesi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31.12.2017.

Dalla situazione sopra descritta si possono ben comprende le ragioni dell’ultimo intervento di riforma di cui all’art. 32-quater del Decreto Fiscale, volto, appunto, a colmare una situazione di forte incertezza.

L’art. 32-quater ha, infatti, stabilito che gli utili distribuiti alle società semplici, da società ed enti residenti, seguono il regime fiscale applicabile in capo al socio che li percepisce, come se la società semplice intermediaria non esistesse.

Da qui, il regime fiscale applicabile alla casistica in esame, è il seguente:

La norma stabilisce che l’imputazione per trasparenza ai soci, dei dividendi corrisposti alla società semplice, si atteggia in modo differente rispetto al tipico principio di trasparenza che connota le società semplici. In questo ultimo caso, infatti, il reddito imputato ai soci segue i criteri di determinazione secondo le regole proprie della società partecipata. Al contrario, l’art. 32-quater prevede una forma di trasparenza che potremmo definire “diretta”, nel senso che il regime impositivo degli utili distribuiti a società semplici dipende dalla qualità del socio, come se fosse questo ad effettuare direttamente l’investimento.

Nonostante i chiarimenti offerti dalla norma, parecchie sono ancora le zone d’ombra che informano la materia, in particolar modo, nel caso in cui la distribuzione di utili presenti elementi di transnazionalità.

Infatti, la norma fa riferimento esclusivo agli utili corrisposti alla società semplice dalle società ed enti residenti di cui all’art. 73, comma 1, lettera a), b) e c) del TUIR, escludendo, dunque, le società ed enti non residenti. È di tutta evidenza, quindi, che la più intensa forma di trasparenza, da ultimo introdotta, non sia applicabile nel caso di partecipazione di società semplici in società estere.

Tale differente trattamento porta a ritenere che in tutti i casi di incasso di dividendi di fonte estera da parte di una persona fisica non in regime di impresa, per il tramite di una società semplice, questi concorrano integralmente alla formazione del reddito complessivo della società semplice, imputato, poi, per trasparenza al socio-persona fisica.

Non può negarsi che, in tali situazioni, possano individuarsi ipotesi di doppia imposizione piena – a monte sulla società emittente, e a valle sulla società semplice -, con effetti penalizzanti a carico del singolo socio, il quale subirebbe un carico fiscale decisamente più pesante. In base ciò può immaginarsi come tale situazione possa rientrare tra le misure vietate dall’art. 63, paragrafo 1, TFUE.

È, quindi, opportuno che l’Agenzia delle Entrate faccia chiarezza sul tema, in quanto, così interpretata, la norma di cui all’art. 32-quater si pone in contrasto con i principi comunitari di libera circolazione di capitali.