Il D.L. n. 34/2020, meglio noto come Decreto Rilancio, arricchisce il pacchetto di misure finalizzate a sostenere le imprese e a favorire la ripresa delle attività economiche dopo la repentina interruzione dovuta alla diffusione del virus Covid-19.

Tra gli interventi previsti dal provvedimento legislativo in commento, si segnala quello di cui all’art. 26, rubricato “Rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni”, il quale introduce meccanismi agevolativi, sia fiscali che finanziari, per incentivare la capitalizzazione delle PMI, che siano state colpite dal lockdown.

La norma mira a premiare gli investimenti in capitale, innanzitutto attraverso il riconoscimento di un (doppio) credito di imposta, che opera su due fronti: (i) a favore del socio, che apporta il conferimento, e (ii) a favore della società, che lo riceve.

In aggiunta, nella stessa disposizione, il legislatore consente alle società beneficiarie dell’aumento di capitale “privilegiato”, di emettere titoli di debito e/o obbligazioni, sottoscrivibili da un fondo a partecipazione pubblica appositamente costituito, a fronte dell’assunzione di specifici impegni da parte della società emittente.

Quanto ai requisiti necessari per poter accedere al beneficio fiscale, la norma prevede che si tratti di aumenti di capitale rivolti a società di capitali e cooperative (ad esclusione di intermediari finanziari e imprese di assicurazione), che abbiano:

e il cui aumento di capitale venga deliberato ed integralmente eseguito entro il 31.12.2020.

Al verificarsi delle condizioni sopra indicate, al singolo sottoscrittore competerà un credito d’imposta pari al 20% delle somme conferite – incluso il sovrapprezzo – con un tetto massimo all’investimento pari a € 2.000.000 (il credito d’imposta non potrà, quindi, in alcun caso, essere superiore a € 400.000).

Forte limitazione all’operatività del beneficio è costituita dalla esclusione degli aumenti di capitale lato sensu intragruppo: restano, infatti, escluse dal novero dei possibili beneficiari del bonus le società che siano anche solo indirettamente collegate con la società conferitaria.

Da ultimo, deve aggiungersi che, per conservare il bonus, la partecipazione ricevuta con la sottoscrizione dell’aumento di capitale dovrà essere detenuta sino al 31 dicembre 2023, e che la distribuzione di riserve da parte della società prima di tale data comporterà, da un lato, la decadenza del beneficio fiscale, e, dall’altro, l’obbligo di restituzione, da parte del singolo socio, dell’ammontare del credito di imposta di cui abbia usufruito, maggiorato di interessi legali. Resta il dubbio se la distribuzione di utili di esercizio determini il medesimo effetto.

Passando alla società beneficiaria, perché possa riconoscersi il credito di imposta, in questo caso pari al 50% delle perdite eccedenti il 10% del patrimonio netto, al lordo delle perdite stesse, fino a concorrenza del 30% dell’aumento di capitale eseguito, in aggiunta ai requisiti di cui sopra, occorre altresì l’avveramento di ulteriori e più stringenti condizioni.

Vale a dire, che si tratti di imprese “virtuose”, ossia in regola con gli adempimenti fiscali, previdenziali, con le norme edilizie/urbanistiche, del lavoro, della prevenzione infortuni, della salvaguardia dell’ambiente, ed irreprensibili sotto il profilo penale.

Analogamente a quanto previsto per il beneficio riservato al socio, la distribuzione di qualsiasi tipo di riserve (e forse anche di utili) prima del 1° gennaio 2024 da parte della società comporta la decadenza dal beneficio e l’obbligo di restituire il bonus, unitamente agli interessi legali.

Il legislatore, inoltre, ha specificato che entrambi i crediti di imposta – quello a favore del socio e quello a favore della società – possano cumularsi tra loro e con le altre misure di sostegno introdotte per far fronte all’attuale emergenza da Covid 19, e che l’ammontare delle predette misure, complessivamente considerate, non potrà eccedere la somma di € 800.000.

A tal fine, occorrerà che il legale rappresentante della società presenti una dichiarazione sostitutiva con cui si certifica il rispetto del predetto limite.

Questi, in massima sintesi, i benefici di carattere fiscale il cui utilizzo è limitato nel tempo e che si sommano all’ulteriore vantaggio di carattere finanziario.

Le società che hanno ricevuto l’aumento di capitale, sopra descritto, potranno, infatti, emettere obbligazioni o titoli di debito, sottoscrivibili da un fondo (Fondo Patrimonio PMI), per un ammontare pari al minore valore tra il triplo dell’aumento di capitale eseguito e il 12,5% dei ricavi relativi al periodo d’imposta 2019.

L’emissione dei titoli potrà avvenire, per espressa previsione normativa, anche oltre il limite di cui all’art. 2412 c.c., dunque oltre il limite del doppio del patrimonio netto.

Tra le poche caratteristiche del prestito indicate dalla norma si segnala che gli strumenti finanziari sono rimborsati dalla società emittente decorsi sei anni dalla sottoscrizione, ferma restando la possibilità di rimborso anticipato, decorsi tre anni dalla data di sottoscrizione. Gli interessi matureranno con cadenza annuale, ma saranno corrisposti in un’unica soluzione, alla data di rimborso del capitale.

La sottoscrizione dei titoli è però condizionata dall’assunzione, da parte della società emittente, dei seguenti impegni:

Restano aperti non pochi dubbi interpretativi, i quali, auspicabilmente, potranno trovare qualche risposta più precisa nei successivi regolamenti attuativi, in particolare, riguardo le caratteristiche del prestito, a cominciare dalle possibili limitazioni al rimborso anticipato (indispensabili per l’eventuale allocazione del prestito al patrimonio netto della beneficiaria, secondo quanto sarebbe logico attendersi vista la ratio dell’intervento governativo), per finire con la possibilità di prevedere specifici diritti amministrativi, ulteriori rispetto a quelli indicati nel decreto, finalizzati a consentire al finanziatore un maggiore controllo nella gestione della società, tra cui, ad esempio, diritti di informativa preventiva e/o diritti di nomina di membri del CDA o, più probabilmente, degli organi di controllo.

Staremo, dunque, a vedere, quanti di questi aspetti troveranno miglior regolamentazione nel provvedimento attuativo, e quanti verranno invece lasciati all’autonomia negoziale dei privati, nella determinazione convenzionale del regolamento contrattuale del prestito.

Sin d’ora, tuttavia, non si può dubitare che le PMI dovranno dotarsi di adeguato supporto professionale, per strutturare l’operazione nel miglior modo rispetto alla situazione ed alla esigenza della società e quindi portare avanti la necessaria negoziazione di dettaglio con il fondo pubblico, potendo fare la differenza la scelta di un supporto consulenziale con approccio sartoriale, non standardizzato ed indipendente, cioè scevro da possibili situazioni di conflitto di interesse eventualmente derivanti da assistenza professionale fornita anche alla parte pubblica, nelle sue molteplici manifestazioni.