La recente Decretazione di urgenza ha messo in campo una serie di iniziative di natura economica per far fronte alla pandemia Covid-19, tra cui il tentativo, riuscito forse solo parzialmente, di agevolare, dal punto di vista fiscale, la raccolta di beni e fondi a sostegno delle attività volte a contenere l’emergenza epidemiologica in corso.

Tali misure vanno ad arricchire e ad integrare il panorama, piuttosto frastagliato e disorganico, delle agevolazioni tributarie introdotte negli ultimi anni per favorire le liberalità, sia in danaro che in natura, a favore degli enti impegnati in attività di interesse sociale.

La norma di maggiore rilevanza risulta essere l’art. 66 del Decreto Cura Italia che ha rafforzato il già esistente regime agevolativo riconosciuto alle contribuzioni destinate enti pubblici, associazioni di volontariato, e operatori generalmente coinvolti in occasione di calamità naturali.

Per le persone fisiche è stata introdotta una detrazione pari al 30% dell’importo donato (con limite di € 30.000)[1] nel caso di erogazioni, effettuate nel 2020, a favore – non solo di associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro, ma anche – di una serie di soggetti normativamente individuati (quali  Stato, Regioni, enti locali territoriali, ospedali ecc)  purché finalizzate a finanziare gli interventi in materia di contenimento e gestione della situazione di emergenza in corso.

Per i titolari di reddito di impresa, invece, è stata riconosciuta la deduzione integrale (ai fini delle imposte dirette ed IRAP) delle erogazioni in denaro ed in natura, effettuate nel 2020, a sostegno delle misure di contrasto all’emergenza epidemiologica, secondo le previsioni già applicate nei casi di calamità pubblica e di altri eventi straordinari (in linea con quanto previsto dall’art. 27, L. 133/1999), a favore di vari soggetti chiamati ad operare in tale situazione emergenziale, tra cui anche ONLUS e altri enti riconducibili al settore non profit.

Mediante rinvio a precedenti parametri di legge (i.e. articoli 3 e 4 del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 28 novembre 2019) l’art. 66 del Cura Italia chiarisce opportunamente quali criteri seguire per la determinazione del valore di sovvenzioni eseguite in natura così facendo riferimento (i) al valore normale del bene oggetto di elargizione ex art. 9 del TUIR;  ovvero (ii) al valore fiscale residuo del bene strumentale elargito; ovvero ancora, in via residuale (iii) al valore risultante da apposita perizia di stima per elargizioni in natura di valore superiore ad Euro 30.000 o indeterminabile.

Al di là della loro valorizzazione, le liberalità in natura possono dare origine a svariate problematiche di natura fiscale per le imprese eroganti. Le cessioni gratuite di beni inerenti l’attività di impresa, in generale, sono, infatti, rilevanti sia ai fini delle imposte dirette (ai sensi dell’art. 85, co. 2 TUIR), che dell’IVA. In verità, mentre il problema sul piano dell’Ires è stato sterilizzato dal legislatore che ha, attraverso il richiamo all’art. 27 della L. 133/1999, espressamente previsto che le erogazioni a fini Covid non concorrano a formare il reddito imponibile dell’imprenditore, nulla è stato, viceversa, previsto in materia di imposta sul valore aggiunto.

Per queste ragioni le erogazioni in natura possono risultare assoggettate ad IVA o, in alternativa, se destinate ai soggetti di cui all’art. 10, co. 1, n. 12 D.P.R. 633/1972 (come ONLUS, Enti pubblici ecc), essere esenti da imposta, con, tuttavia, la conseguenza della indetraibilità dell’IVA versata a monte.

Un simile regime, non del tutto favorevole per l’imprenditore donante, è derogato solo ove le donazioni abbiano ad oggetto determinate categorie di beni non più commerciabili, che andrebbero altrimenti soggetti a distruzione, seguendo una procedura non scevra di vincoli ed oneri formali per l’impresa (ai sensi dell’art. 2 D.P.R. 441/1997). In alternativa allo smaltimento, infatti, nella disciplina ante coronavirus, le imprese potevano procedere “a distruzione” tramite la cessione gratuita (irrilevante ai fini delle imposte dirette e fuori campo IVA, con piena  detraibilità dell’imposta assolta a monte) a determinati enti no profit, quasi esclusivamente di eccedenze alimentari e medicinali, non più idonei alla commercializzazione (ai sensi dell’art. 16 L. 166/2016 e art. 6, co. 15, L. 133/1999).

In tale contesto è intervenuto, con varie e frastagliate disposizioni, il legislatore emergenziale che ha previsto un notevole allargamento delle categorie di beni, sempre e comunque connotati dalla non commerciabilità[2], la cui cessione gratuita è equiparata alla distruzione ai fini IVA. Possono ora essere “smaltiti”, attraverso donazioni, computer, libri, capi di abbigliamento ed altre categorie di beni espressamente elencati dal primo comma dell’art. 16, co. 1, L. n. 166/2016.

Francamente nella situazione di grave crisi che si sta vivendo, non è condivisibile la scelta del  legislatore di non estendere in via generale, per lo meno per il solo 2020 o per le sole donazioni ai fini Covid, la possibilità di considerare distrutti, attraverso la cessione gratuita (che – è bene sottolinearlo – in ogni caso, è oggetto di specifici vincoli sia soggettivi, in riferimento agli eventuali beneficiari, che procedurali[3]), di beni di impresa, indipendentemente dalla loro idoneità o meno ad essere messi sul mercato.

Meno problematica, risulta la disciplina fiscale delle erogazioni liberali in danaro. Al riguardo, conformemente a quanto già previsto per la generalità delle donazioni in denaro, anche ai fini delle agevolazioni di cui all’art. 66, il soggetto erogatore è tenuto ad effettuare i versamenti con mezzi di pagamento tracciabili.  Per usufruire dei benefici fiscali è, infatti, necessario conservare la relativa attestazione di donazione.

Le agevolazioni fiscali qui esaminate hanno incoraggiato talune imprese – in ottica solidale, ma anche per trarre benefici di natura reputazionale – a promuovere raccolte fondi finalizzate al sostegno delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica (sia direttamente, invitando i donatori a effettuare le erogazioni presso gli appositi conti aperti dalla Protezione Civile ai sensi dell’art. 99 del D.L. Cura Italia, sia operando quali collettori intermediari dei capitali donati).  Altri soggetti, invece, – in particolare privati cittadini – hanno partecipato a campagne di raccolta fondi mediante piattaforme on-line, le cd. piattaforme di crowdfunding.  Si tratta, in tale ultimo caso, di una modalità di raccolta fondi che, mentre è specificamente regolamentata per il caso di raccolta di capitale di rischio (si veda regolamento Consob n. 18592/2013), per il resto appare ancora priva di una disciplina legislativa e lasciata tendenzialmente all’autoregolamentazione delle piattaforme stesse.

Queste tipologie di raccolte fondi indirette, seppur rappresentino una ragguardevole opportunità per gli operatori del terzo settore[4] e, in generale, un facile mezzo di raccolta di capitale a fini solidaristici, presentano alcuni aspetti critici, dovuti essenzialmente alla mancanza di specifiche norme in materia.

In primis, si pone il problema dell’effettiva possibilità che le donazioni siano agevolabili ai sensi dell’art. 66 D.L. Cura Italia.

In un primo momento, il Decreto Cura Italia richiamando, all’art. 66, l’art. 27 della legge n. 133/1999, sembrava limitare l’agevolabilità delle donazioni a quelle che fossero state effettuate a favore o per il tramite di determinati soggetti, specificamente individuati in apposito elenco, (es. Onlus, enti pubblici ecc). Tale lettura era stata confermata dalla stessa Amministrazione finanziaria nella circolare n. 8/2020.

Il citato dettato normativo comportava, pertanto, che fosse per lo meno dubbia o critica, la possibilità di agevolare donazioni, seppure in ultima istanza destinate a supporto delle misure anti-covid, purtuttavia raccolte per il tramite di soggetti non ricompresi nel novero di quelli indicati dal combinato disposto dell’art. 66 D.L. 18/2020 e 27 L. 133/1999 (quali, a titolo esemplificativo, le società di capitali).

La suddetta criticità sembra essere stata superata dalla Risoluzione n. 21/2020, poi ripresa dalla Circolare n. 11/2020, ove vengono fatti rientrare, in via interpretativa e per ragioni di particolare favore nei confronti delle erogazioni ai fini Covid, tra il novero degli intermediari attraverso cui si possano effettuare donazioni agevolabili anche collettori terzi e, in particolare, portali di crowdfunding, assoggettati a stringenti vincoli formali (per la dimostrazione della concreta destinazione delle somme raccolte), al fine di permettere ai donatori di beneficiare delle citate agevolazioni fiscali (che si ritiene, in ogni caso, applicabili all’ammontare dell’erogazione al netto dell’eventuale commissione applicata dall’intermediario).

Le campagne di raccolta di fondi attraverso la rete, così come mediante il crowdfunding, risultano accattivanti sia per l’organizzatore della raccolta, che per il beneficiario, consentendo grandi risultati in termini di risonanza ed anche di ammontare di capitale raccolto, ma debbono essere effettuate con attenzione, anche dal punto di vista formale, al fine di non mettere a rischio le agevolazioni fiscali previste dal legislatore a favore dei sovventori.

[1] Di fatto, viene ripreso quanto previsto in materia di erogazioni liberali in favore degli ETS.

[2] Unica eccezione sono i farmaci ad uso compassionevole che, ai sensi dell’art. 27 del Decreto Liquidità, qualora ceduti gratuitamente, sono considerati distrutti ai fini IVA.

[3] Si vedano le varie previsioni in tal senso previste dall’art. 16 L. 166/2016.

[4] Basti al riguardo sottolineare come la recente emergenza Covid-19 abbia portato a donazioni (facilitate anche dalla presenza di portali e intermediari operanti via web) per un ammontare stimato di circa 1,2 miliardi di Euro.