L’emergenza sanitaria in corso e i provvedimenti governativi assunti nel tentativo di arginarla hanno posto e pongono molti interrogativi, in punto di trattamento dei dati personali. In questo frangente, svariati diritti fondamentali, tra cui, appunto, quello alla protezione e alla riservatezza dei dati, vengono in tensione e necessitano, inevitabilmente, di bilanciamento.

Il Regolamento UE n. 2016/679 in materia di tutela dei dati personali (di seguito, anche il “GDPR”), al considerando n. 4, riconosce come il diritto alla riservatezza non costituisca una prerogativa assoluta, ma vada considerato alla luce della sua funzione sociale e contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità.

Ebbene, in questa situazione emergenziale, il diritto alla protezione dei dati di carattere personale si viene a trovare in conflitto con il diritto alla salute e alla sicurezza pubblica, per la cui tutela il primo può essere compresso, nei limiti in cui ciò sia strettamente necessario e proporzionato al perseguimento dell’unico fine della limitazione del contagio da Covid-19 e, dunque, anche temporalmente limitato allo stato di emergenza ad esso connesso.

Lo stesso Comitato europeo per la protezione dei dati ha già precisato che “l’emergenza è una condizione giuridica che può legittimare limitazioni delle libertà, a condizione che tali limitazioni siano proporzionate e confinate al periodo di emergenza” e che le norme in materia di protezione dei dati (in primis il GDPR) non possono essere di ostacolo all’adozione di misure per il contrasto dell’epidemia che sta flagellando il mondo intero.

D’altronde, il considerando n. 46 del GDPR legittima il trattamento di dati personali allorché sia necessario proprio “per tenere sotto controllo l’evoluzione di epidemie e la loro diffusione o in casi di emergenze umanitarie, in particolare in casi di catastrofi di origine naturale e umana”, escludendo, dunque, che, in tali casi, ai fini del trattamento, sia necessario il consenso dell’interessato.

Il bilanciamento dei predetti diritti fondamentali non risulta, tuttavia, semplice in concreto. Individuare fin dove l’uno possa essere compresso onde tutelare l’altro è un arduo compito e lo scontro di opinioni è inevitabile.

Proprio la difficoltà di bilanciamento è una delle ragioni per cui alcune delle svariate misure da più parti proposte a contenimento del virus – anche sulla scorta di quanto effettuato in altre nazioni interessate dal contagio prima di noi – sono state adottate con maggiore celerità (anche se con voci contrarie), mentre altre sono state oggetto di lunga valutazione e dibattito.

Tra le prime, basti ricordare l’obbligo (vigente fino al 17.05.2020) di fornire alle autorità di pubblica sicurezza apposita autodichiarazione circa le finalità dello spostamento ogni qualvolta ci si allontanava da casa, ovvero dell’obbligo per i lavoratori di informare l’ufficio del personale al manifestarsi di sintomi tipici del Covid-19 o qualora siano entrati in contatto con soggetti risultati positivi alla malattia, ovvero della possibilità per gli stessi datori di lavoro di sottoporre i lavoratori al rilevamento della temperatura corporea e/o di ottenere notizie riguardanti il loro stato di salute, i loro spostamenti sul territorio e/o i contatti sociali intrattenuti, prima di permettere loro l’accesso ai siti aziendali e/o di richiedere l’effettuazione di test sierologici (purché sia disposta dal medico competente), ovvero, ancora, la possibilità di controllo a distanza degli alunni nel corso della didattica online.

Maggiori dubbi in punto di conformità al principio di proporzionalità hanno, invece, fatto sorgere i provvedimenti relativi all’utilizzo di droni ai fini del monitoraggio degli spostamenti dei cittadini sul territorio comunale; dubbi dovuti alla grande quantità di dati registrati da queste apparecchiature, che, peraltro, in gran parte, nulla hanno a che vedere con la battaglia al Covid-19.

Tra le misure oggetto di ampia discussione, anche a livello internazionale, certamente solleva particolare interesse, e altrettanta preoccupazione, la mappatura degli spostamenti della popolazione contagiata sul territorio mediante la geolocalizzazione dei dispositivi mobili.

Sul punto, il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali si era pronunciato in data 29.03.2020, come già precedentemente il Comitato europeo per la protezione dei dati personali, non schierandosi per l’impossibilità di introdurre tale sistema di monitoraggio dei contatti tra individui per prevenire il contagio da Covid-19, ma sottolineando, di contro, l’importanza di individuare modalità operative espressione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e temporaneità rispetto alla finalità perseguita, optando per soluzioni meno invasive, laddove comunque sufficienti ai fini di prevenzione.

Con le linee guida pubblicate in data 21.04.2020, il Comitato europeo per la protezione dei dati personali ha precisato che il ricorso ad applicazioni per il tracciamento dei contatti dovrebbe far parte di una strategia globale in materia di sanità pubblica per combattere la pandemia (di talché, dovrebbero evitarsi soluzioni territorialmente limitate) e dovrebbe avvenire, per dirsi legittimo, su base volontaria, senza che coloro che non intendono o non possono utilizzare tali applicazioni debbano subire alcun pregiudizio. Le applicazioni in questione dovrebbero, altresì, limitarsi a raccogliere informazioni di prossimità relative agli utenti, senza spingersi a tracciare i movimenti individuali, privilegiando il trattamento di dati anonimi piuttosto che di dati personali.

Ferme le predette indicazioni, in data 01.06.2020, il Garante per la protezione dei dati personali ha autorizzato il Ministero della salute ad avviare il trattamento relativo al Sistema allerta Covid-19, (c.d. app “Immuni”), al solo fine di allertare le persone che siano entrate in contatto stretto con soggetti risultati positivi e tutelarne la salute, ritenendo legittimo e proporzionato il trattamento di dati personali effettuato ed essendo state previste misure volte a garantire in misura sufficiente il rispetto dei diritti e le libertà degli interessati; misure che, tuttavia, posti gli elevati rischi presentati dal trattamento in questione, il Garante stesso ha consigliato di implementare, suggerendo la previsione di ulteriori interventi a maggiore garanzia della sicurezza dei dati di coloro che utilizzeranno l’applicazione in questione.

In conclusione, volendo utilizzare le parole del Presidente dell’Autorità Garante italiana, le limitazioni al diritto alla riservatezza di tali dati sono l’inevitabile “prezzo da pagare per tutelare l’incolumità di tutta la collettività”, purché non sfocino in forme ingiustificate di controllo della popolazione. È chiaro, tuttavia, che ci troviamo di fronte ad una situazione emergenziale in continua evoluzione, che richiede pronte e complesse decisioni (che non possono essere lasciate ai singoli, con ogni evidente conseguenza in punto di avversione a soluzioni “fai da te”), nonché costante monitoraggio e rivalutazione dei dati relativi al contagio: ciò significa che anche il bilanciamento dei vari diritti fondamentali deve essere rapidamente rivisto, così come le consequenziali misure invasive della privacy di ciascuno, onde evitare che misure, ragionevoli ed accettabili in un determinato frangente, possano permanere oltre lo stretto necessario e, dunque, divenire irragionevoli e inaccettabili.

Di talché, ogni iniziativa, anche privata, pensata a contenimento del contagio, comportante il trattamento di dati personali, andrà valutata con serietà, professionalità e attenzione, soprattutto agli orientamenti delle autorità garanti interne e sovranazionali, evitando che la riservatezza dei dati personali venga, in maniera del tutto ingiustificata e, dunque, illegittima, compressa.