La Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) si è pronunciata recentemente su una questione che coinvolge i rapporti fra pubblicità e libertà di espressione (sentenza 22 dicembre 2020, R n. 41723/14).
La questione, che ha visto contrapposti la SSR (Société Suisse de radiodiffusion et télévision, concessionaria pubblica per il servizio radiotelevisivo) e il governo federale svizzero, prende le mosse dal rifiuto della prima di trasmettere lo spot pubblicitario di un’associazione per la protezione degli animali che terminava col rinvio al sito internet dell’associazione accompagnato dal claim “Quello che la televisione svizzera passa sotto silenzio”. Il comportamento dell’emittente si basava su una clausola delle condizioni generali di inserzione che le attribuiva il cosiddetto diritto di rifiuto, e specificamente il diritto di rifiutare la trasmissione di pubblicità pregiudizievole ai suoi interessi commerciali e alla sua immagine. Una precedente versione dello spot, che terminava con il claim “Quello che gli altri media passano sotto silenzio”, di significato analogo ma di portata più generica, era stato invece accettato e trasmesso senza problemi.
A fronte del rifiuto, l’associazione animalista si era rivolta all’autorità amministrativa di vigilanza, alla quale aveva chiesto che la SSR fosse obbligata a trasmettere lo spot nella versione rifiutata, e a seguito dell’esito negativo del ricorso al Tribunale federale svizzero, il quale aveva ingiunto all’emittente di trasmettere lo spot. Il Tribunale aveva osservato che la concessionaria radiotelevisiva godeva di totale autonomia relativamente alla parte redazionale dei suoi programmi, ma che non poteva dirsi altrettanto per quanto riguarda i contenuti pubblicitari, relativamente ai quali era tenuta al rispetto dei diritti fondamentali, quali la libertà di espressione (art. 17 della Costituzione federale). Aveva pure osservato che la pubblicità può riguardare il campo di applicazione della libertà di espressione, e che sempre secondo la Costituzione federale (art. 35) è compito dello Stato – in tutte le sue articolazioni, ivi compreso l’operato di una concessionaria pubblica, quale la SSR – assicurare il rispetto dei diritti fondamentali. Sulla base di tali considerazioni, aveva ingiunto all’emittente di trasmettere lo spot nella versione rifiutata. La SSR aveva presentato ricorso alla CEDU, sostenendo che l’ordine emanato dal Tribunale era lesivo della sua libertà di espressione, tutelata dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La norma in questione, come è noto, tutela la libertà di espressione “senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche” (primo comma), ma prevede che l’esercizio del diritto posta essere sottoposto a limitazioni, alla triplice condizione che tali limitazioni siano previste dalla legge; siano necessarie, in una società democratica, per il perseguimento di esigenze connaturate alla natura stessa di una società di tal genere, come il pluralismo; e siano proporzionate rispetto a tale finalità.
Con la sentenza 22 dicembre 2020 la CEDU ha sostanzialmente condiviso le considerazioni svolte dal Tribunale federale svizzero, concludendo che l’ordine emanato da quest’ultimo non costituiva violazione della libertà di espressione dell’emittente. Questo perché la pubblicità in discussione non aveva fini strettamente commerciali, ma contribuiva ad un dibattito di interesse generale, e quindi era anch’essa tutelata dall’art. 10 della Convenzione, e perché la protezione della reputazione dell’emittente non poteva comportare la soppressione della libertà di critica dell’associazione, che nel caso di specie veniva esercitata attraverso uno spot pubblicitario.
Una conclusione senz’altro interessante, perché nel conflitto fra libertà di espressione del mezzo e libertà di espressione del committente dell’annuncio pubblicitario ha accordato tutela prevalente a quest’ultima, in considerazione dell’argomento trattato.
Avv. Paolina Testa