Il tema dell’assoggettamento ad IVA delle prestazioni eseguite per effetto della sottoscrizione di accordi transattivi, già oggetto di un significativo dibattito dottrinale e giurisprudenziale, anche in seno alla Corte di Giustizia, è recentemente tornato di attualità, in seguito alla pubblicazione di due recentissimi documenti di prassi emanati dall’Agenzia delle Entrate.
Si tratta delle risposte ad interpello n. 145/2021 e n. 212/2021, le quali hanno concordemente ribadito l’imponibilità IVA delle somme erogate da un soggetto passivo, in adempimento di impegni assunti in forza di un accordo transattivo.
La posizione dell’Ufficio si fonda su una lettura rigorosa della disposizione contenuta nell’art. 3, co. 1 del D.P.R. 633/72, a norma del quale sono imponibili “le prestazioni di servizi verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere obblighi di fare, non fare o permettere quale ne sia la fonte”.
Ebbene, secondo l’Agenzia delle Entrate, le obbligazioni assunte con l’accordo transattivo – sia esso concluso in una fase giudiziale, ovvero anteriore all’instaurazione del giudizio – rientrano nell’ambito applicativo della disposizione citata, in quanto, a fronte della prestazione posta in essere da una delle parti (generalmente, di natura monetaria ed assimilabile, quindi, ad un vero e proprio corrispettivo), l’altra parte si impegna a porre in essere un comportamento attivo (obbligo di facere), ovvero passivo (obbligo di non facere, ovvero di permettere).
La prestazione di ciascuna parte avrebbe, pertanto, natura di “controvalore”, rispetto a quella posta in essere dall’altra parte e, come tale, sarebbe assoggettata al prelievo impositivo.
In altre parole, l’applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto si giustificherebbe in ragione della tipica natura sinallagmatica della transazione, la quale non potrebbe neppure configurarsi in assenza di un accordo che preveda per l’appunto l’esecuzione di prestazioni reciproche, ossia un sinallagma.
A tal riguardo, l’art. 1965 del codice civile prevede, in effetti, che “la transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”.
Il rapporto bilaterale, che inevitabilmente sorge per effetto del raggiungimento di un accordo transattivo, sembrerebbe, quindi, dover scontare il prelievo impositivo, con applicazione dell’aliquota ordinaria, a prescindere dal fatto che l’operazione abbia origine da richieste risarcitorie, ripristinatorie di una situazione quo ante o derivi da pretese a titolo di penale per irregolarità nell’esecuzione del contratto.
Si legge infatti nella recentissima risposta ad interpello n. 145/2021 (il cui contenuto è stato essenzialmente ricalcato anche nella successiva risposta n. 212/2021) che “ai fini dell’individuazione del trattamento fiscale in concreto applicabile, risulta necessario individuare la “funzione economica” delle somme dedotte in contratto, le quali sono rilevanti agli effetti dell’IVA, se corrisposte a fronte di obblighi di fare, non fare o permettere a carico della controparte”.
La tesi dell’Agenzia, invero già espressa in numerosi documenti di prassi precedenti (cfr., ex multis, risposta ad interpello n. 387/2019), ha trovato autorevole conferma nella pronuncia n. 20233/2018 della Cassazione, laddove è stato affermato che “la prestazione di servizi – pure in prospettiva unionale – è un’operazione soggetta a Iva anche quando la stessa si risolve in un semplice non fare o come nel nostro caso in un permettere e purché si collochi all’interno di un rapporto sinallagmatico”.
Il principio è stato inoltre espresso pure dalla giurisprudenza comunitaria e, in particolare, dalla Corte di Giustizia UE, la quale ha stabilito che “una prestazione di servizi viene effettuata “a titolo oneroso” ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2006/112 e configura pertanto un’operazione imponibile, quando tra il prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente” (cfr., in questi termini, CGUE, sentenza 2 giugno 2016, causa C-263/15, Lajvér Melioràciòs Nonprofit).
Alla luce di tali precedenti, deve pertanto considerarsi imponibile la prestazione, di natura economico-monetaria, eseguita da una parte, per effetto della sottoscrizione di un accordo transattivo, che preveda un corrispettivo per lo stralcio e/o la definizione delle opposte ragioni controverse, al solo scopo di porre fine ad una lite ovvero di prevenire l’instaurazione della stessa.
Clausole “standard” che dispongono che le parti, “senza riconoscimento alcuno delle opposte ragioni, al solo scopo di transare la lite (o di prevenire il giudizio)”, riconoscono che l’una è debitrice dell’altra di un certo importo, danno quindi luogo (sussistendo il requisito soggettivo richiesto ai fini IVA) a fattispecie imponibile, con conseguente necessità, per la parte che ha ricevuto la prestazione economica (ossia il pagamento), di emettere fattura e versare l’imposta (con aliquota ordinaria, a prescindere dalla natura del rapporto sotteso alla vicenda).
Diverso è il risultato qualora il pagamento eseguito, anche a seguito di accordo, abbia o mantenga la sua natura risarcitoria o ripristinatoria ma è intuibile l’importanza di un’attenta redazione del testo dell’accordo, al fine di scongiurare l’applicazione dell’imposta e i conseguenti obblighi di fatturazione e versamento e, ancor di più, la possibilità di contestazioni, con applicazione delle relative sanzioni, magari a carico di ambo le parti coinvolte.
Carmini Avvocati Associati