Con sentenza 1° ottobre 2021, n. 6596, il Consiglio di Stato, Sez. VI, è intervenuto nuovamente sulla questione della competenza in materia di pratiche commerciali scorrette nel settore delle telecomunicazioni.
La pronuncia trae origine dall’intervento sia dell’AGCM che dell’AGCom, a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, in relazione alle modalità di presentazione al pubblico dell’offerta “Ricarica +” di TIM, ritenute poco chiare nei confronti dei consumatori. Ad un primo intervento di moral suasion dell’AGCM, al quale TIM si era adeguata, aveva fatto seguito un provvedimento sanzionatorio dell’AGCom, impugnato dalla società per difetto di competenza. Il TAR aveva rigettato il ricorso, e la questione era stata sottoposta al Consiglio di Stato, che si è ora pronunciato ribadendo la competenza esclusiva dell’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette, qualunque sia il settore di appartenenza del professionista che le pone in essere.
Le norme di riferimento sono costituite dall’art. 19 co. 3 Codice del consumo, secondo il quale “in caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette” prevalgono sulla normativa generale contenuta nel Codice del consumo, e si applicano agli aspetti specifici disciplinati da tali norme settoriali; e dall’art. 27 co. 1-bis, il quale stabilisce che “anche nei settori regolati, ai sensi dell’art. 19 comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle pratiche commerciali scorrette spetta in via esclusiva all’AGCM, che la esercita acquisito il parere dell’autorità di settore competente”.
Della disposizione contenuta nell’art. 3 co. 4 della direttiva n. 29/2005 (alla quale corrisponde l’art. 19 co. 3 Cod. cons.), la Corte di Giustizia (con sentenza 13 settembre 2018, in cause riunite C-54/17 e C-55/17) aveva dato nel 2018 un’interpretazione volta ad ampliare il più possibile l’ambito di applicazione della normativa generale sulle pratiche commerciali scorrette, e di conseguenza la competenza dell’autorità che, secondo la legislazione dello stato membro interessato, è chiamata ad applicarla. Secondo la Corte di Giustizia, il criterio regolatore della competenza fra autorità chiamate all’applicazione della normativa di settore e autorità chiamata all’applicazione della normativa generale non è quello della specialità, ma quello della incompatibilità: occorre cioè – per riprendere le parole del Consiglio di Stato con la sentenza di cui si dà qui notizia – che “tra le due discipline sussista una complessiva divergenza di contenuti che non ne consenta neanche l’astratta coesistenza”. In altri termini, la normativa di settore non può disciplinare pratiche commerciali scorrette, ma solo aspetti della condotta dell’imprenditore che divergano radicalmente da tali pratiche; le pratiche commerciali scorrette sono disciplinate esclusivamente dalla normativa generale, e la competenza ad applicare tale normativa è – nel nostro ordinamento – demandata in via esclusiva all’AGCM.
Questo principio, sulla scorta della sentenza sopra richiamata della Corte di Giustizia, era stato già affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7296 del 2019, e viene ora ribadito in modo deciso. Con riferimento al caso concreto, il Consiglio di Stato afferma non esservi dubbi che la condotta presa in considerazione dalle due Autorità sia la stessa, e che le due normative (quella generale e quella di settore) non siano incompatibili, ma convergenti, mirando entrambe a tutelare la parte debole da condotte che integrano gli estremi di illeciti informativi.
Un passo avanti nella direzione della chiarezza, dunque; con l’indiscutibile vantaggio pratico, per le imprese, di non vedere sanzionata due volte la stessa condotta.
Avv. Paolina Testa