Il contratto con cui una persona cede a titolo oneroso il diritto di sfruttamento della propria immagine è molto utilizzato nel mondo della pubblicità. Sono numerose le aziende disposte a pagare anche somme ingenti per utilizzare come testimonial dei propri prodotti o servizi noti personaggi pubblici, come attori, cantanti, sportivi, e più di recente anche chef stellati e influencer.
Solitamente il contratto prevede, fra il resto, che il diritto di sfruttamento dell’immagine sia concesso per un tempo determinato, salvo il diritto del testimonial (e reciprocamente dell’impresa) di recedere anticipatamente qualora, a causa di eventi non prevedibili, l’abbinamento dell’ immagine ai prodotti/servizi di quell’impresa possa comportare un pregiudizio alla sua reputazione e credibilità, come potrebbe accadere, ad esempio, qualora l’impresa fosse coinvolta in fatti screditanti agli occhi del pubblico. Fuori da questa ipotesi, l’esistenza di un contratto che prevede, fra il resto, il pagamento di un corrispettivo al testimonial, e ingenti investimenti da parte dell’impresa che ne sfrutta l’immagine (si pensi al costo per la produzione e l’acquisto degli spazi per uno spot televisivo) porterebbe alla logica conclusione che il testimonial è vincolato al consenso espresso e quindi a consentire l’utilizzo della propria immagine per il tempo pattuito. In realtà per i nostri tribunali non è così .
Secondo la Corte d’Appello di Milano (sentenza del 23.03.2021) il soggetto del quale si sfrutta l’immagine può revocare in qualunque momento il consenso alla sua diffusione e così impedire all’impresa l’utilizzo della propria immagine stabilito per contratto. A questa conclusione la Corte perviene in applicazione di un principio già affermato dalla Cassazione (sentenze n. 1748/2016; n. 27506/2008; n.3014/2004) e secondo cui occorre distinguere le condizioni e le modalità concordate per lo sfruttamento dell’immagine, che hanno una loro disciplina regolata dal contratto, e il consenso allo sfruttamento che, pur inserito nel contratto, ne resta distinto e autonomo.
Con la conseguenza che il consenso alla diffusione dell’immagine può essere sempre revocato. In tal caso, sempre secondo la giurisprudenza citata, il mancato rispetto del contratto può comportare il diritto dell’impresa al risarcimento del danno subito, ma la stessa impresa dovrebbe comunque cessare anzitempo l’utilizzo dell’immagine del testimonial.
Inutile aggiungere che questo orientamento comporta rischi ed incertezze per tutte le imprese che nella propria comunicazione utilizzano l’immagine altrui. E ciò non solo, e non tanto, per il caso che il testimonial sia un noto personaggio ( che non avrebbe interesse a revocare il consenso e rinunciare così ad un lauto guadagno, oltre al rischio di dover risarcire il danno da inadempimento contrattuale), ma piuttosto quando l’immagine è quella di un modello o modella ignoti al momento in cui hanno prestato il consenso e che abbiano acquisito successivamente notorietà tali da poter proporsi sul mercato chiedendo un corrispettivo ben superiore a quello del contratto da cui recedono anzitempo.
Avv. Pierluigi Cottafavi