La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi ex professo della retroversione degli utili quale criterio di liquidazione del danno da contraffazione; lo ha fatto con due ordinanze consecutive, pubblicate il 29 luglio scorso, la prima delle quali (Cass. Civ. Sez. I, 29.7.2021 n. 21832) in ipotesi di violazione di una privativa brevettuale, la seconda (Cass. Civ. Sez. I, 29.7.2021 n.  21833) in tema di violazione del diritto d’autore

Le due pronunce meritano di segnalate in correlazione, sia perché affrontano l’argomento in relazione a norme diverse (art. 125 CPI la prima, art. 158 LdA la seconda), sia perché forniscono, nel complesso, una ricostruzione diversificata, ma intrinsecamente coerente, all’esito di una approfondita analisi interpretativa, letterale e sistematica. Entrambe, inoltre, affermano principi di diritto, cui le corti di merito dovranno attenersi nel giudizio di rinvio, senz’altro meritevoli di annotazione per gli operatori del diritto. 

Con la prima ordinanza (n. 21832) la Cassazione si è occupata – per sua espressa ammissione “per la prima volta in modo specifico e puntuale” – di due distinti, ma correlati, problemi giuridici, ovverosia: (a)i rapporti dell’istituto della retroversione degli utili con il risarcimento del danno da lucro cessante” e (b) l’elemento soggettivo per l’applicabilità dell’istituto. La ricorrente censurava una  pronuncia di appello – confermativa (salvo in punto pubblicazione del dispositivo) della sentenza del tribunale – che aveva accertato la contraffazione di un brevetto e condannato la ricorrente al risarcimento dei danni, liquidati (anche) a mezzo della retroversione degli utili ex art. 125, comma 3, CPI., in principalità, per avere la Corte milanese affermato che la retroversione degli utili prescinde sia (i) dalla ricorrenza di un danno risarcibile, sia (ii) dal requisito della colpa del contraffattore. La ricorrente lamentava, in particolare, “l’abbandono della logica risarcitoria per attribuire all’istituto una funzione sanzionatorio-punitiva (…) in contrasto con le previsioni normative in caso di violazione del diritto d’autore (art. 158 l.d.a.)” e con la considerazione che “l’alternatività della retroversione al risarcimento del lucro cessante imporrebbe di attribuire la medesima natura e il fondamento su di un pregiudizio accertato in capo al titolare del diritto”; dolendosi, altresì, del fatto che i “principi generali in tema di risarcimento del danno” non permetterebbero di “trascurare la necessità di un elemento psicologico, almeno colposo, in capo al contraffattore” (elemento ritenuto vieppiù “imprescindibile nell’ottica di un rimedio sanzionatorio e punitivo”).

Ad esito di un’articolata e approfondita esegesi dell’art. 125 CPI (dalla sua formulazione originaria a quella attuale, frutto del recepimento della direttiva enforcement), dell’art. 158 LdA e di altre fonti sovraordinate, incluso l’art. 45 TRIPs, di considerazioni di ordine sistematico e con il richiamo di alcuni precedenti arresti, anche recenti, della stessa Corte (tra cui Cass. 2021/5666, oggetto di segnalazione nella nostra newsletter 2/2021), la Cassazione giunge alla conclusione che il legislatore del 2006 abbia introdotto “uno strumento rimediale sui generis, di tipo restitutorio, ispirato a una logica composita, in parte compensatoria e in parte dissuasiva e deterrente, che si affianca alla tutela risarcitoria classica, sia pure nella sua declinazione speciale prevista in materia di proprietà industriale con le regole stabilite nei primi due commi dell’art. 125.”

Non è possibile, in questa sede, dare compiutamente conto del complesso iter argomentativo sviluppato dalla Corte; mi limito quindi qui a segnalare i due principi di diritto delineati dalla Corte per risolvere i due problemi giuridici sopra accennati, ovverosia: nella materia industrialistica, il titolare della privativa violata ha facoltà di chiedere la retroversione degli utili, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, 1)senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che, agli utili realizzati dal contraffattore, sia corrisposto un mancato guadagno da parte sua” e 2)senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che l’autore della violazione abbia agito con dolo o colpa”.

Giova altresì segnalare che l’invocato contrasto tra l’art. 125 CPI, come sopra interpretato, e l’art. 158 LdA, sia stato ritenuto insussistente, e comunque irrilevante, per ragioni di ordine prevalentemente storico-letterale e sistematico, stante la diversa formulazione delle due norme. Come anche confermato dalla seconda ordinanza qui segnalata, l’art. 158 LdA non contempla l’istituto della retroversione degli utili come delineato dall’art. 125.3 CPI, ma menziona solo “gli utili realizzati in violazione del diritto” come uno dei criteri orientativi di liquidazione del danno da considerare nell’alveo, e nell’ambito, della liquidazione equitativa del lucro cessante, ex art. 1226 cod. civ..

Con la seconda ordinanza (n. 21833), come anticipato, la Corte si è occupata della retroversione degli utili in ipotesi di violazione del diritto d’autore, delineando una ricostruzione dell’art. 158 LdA coerente con quanto, sia pure incidentalmente, affermato nella prima ordinanza. Prendendo le mosse dal testo dell’art. 158 LdA, la Corte evidenzia, infatti, come il criterio della c.d. “retroversione degli utili” (a pari di quello del cd “prezzo del consenso”) sia richiamato solo nell’ambito della valutazione del lucro cessante che, per l’espresso richiamo all’art. 2056, comma 2,  cod. civ., deve essere valutato “con equo apprezzamento delle circostanze del caso” e dunque “sempre nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.” (norma parimenti espressamente richiamata dall’art. 158.2. LdA).

In tale contesto la Corte, valorizzando l’espressione (“quanto meno”) utilizzata in relazione al criterio del c.d. prezzo del consenso, giunge alla conclusione questo sia il criterio liquidatorio c.d. minimale del lucro cessante; i due criteri (retroversione utili e prezzo del consenso) si pongono in relazione tra di loro “come cerchi concentrici, avendo il legislatore indicato come il secondo sia quello che permette una liquidazione c.d. minimale, mentre il primo, dall’intrinseco significato sanzionatorio, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito…”.

Ricondotta la retroversione degli utili, in caso di violazione di diritti autorali, nell’alveo della liquidazione equitativa del lucro cessante, la Corte evidenzia poi come il richiamo (parimenti contenuto nell’art. 158 LdA) all’art. 1223 c.c. “esprima la necessità di calcolare i soli profitti che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito e dunque la necessità di individuare corretti “fattori di moderazione” dei profitti restituibili ai sensi dell’art. 158 LdA “in funzione risarcitoria”, dal momento che “il principio della retroversione degli utili è un mero strumento per pervenire alla determinazione equitativa del danno, non per attribuire in modo acritico e matematico tutti i proventi riscossi”. 

Con la seconda ordinanza la Corte delinea i seguenti principi di diritto, cui dovrà attenersi il giudice del rinvio: 

1)Il criterio della retroversione degli utili in tema di diritto d’autore, anche ove più favorevole al danneggiato, resta nondimeno ancorato alla regola della necessaria derivazione causale ex art. 1223 c.c. dal fatto illecito: pertanto la somma, così come accertata quale ricavo per lo sfruttamento dell’opera realizzato dal responsabile, deve essere depurata, da un lato, dei costi sostenuti dal medesimo, e, dall’altro lato, dell’autonomo contributo al successo dell’opera (…), propiziato dalla notorietà dell’interprete e dalle concrete capacità esecutive ed evocative del medesimo, tali da suscitare l’interesse del pubblico”; 2)Fra i “fattori di moderazionedei profitti restituibili, alla stregua del criterio della retroversione degli utili, di cui all’art. 158 l. aut., vanno considerati i costi sostenuti dall’autore del plagio” (il quale ha l’onere di fornire elementi concreti di calcolo, quali bilanci, scritture contabili, contratti, ecc., mentre il Giudice può disporre CTU che dia conto dell’incidenza media dei costi sui ricavi nello specifico settore di mercato, e trarre comunque argomenti di prova ex art. 116.2 c.p.c. dalla condotta inadempiente a un ordine di esibizione documentale), nonché 3)l’autonomo contributo al successo dell’opera da parte dell’autore o degli autori dell’illecito, da accertare da parte del giudice, anche in via presuntiva, sulla base di indicatori quanto più obiettivi, come le vendite realizzate dal responsabile, anche per altre opere, entro un periodo di tempo significativo e sufficientemente esteso, e ciò in comparazione con quello dell’autore dell’opera plagiata…

Si tratta dunque di due pronunce destinate a lasciare una significativa impronta nei cultori della materia e – anche per la singolare coincidenza temporale e sequenzialità – ad imprimersi nella memoria degli operatori della proprietà intellettuale latu sensu intesa.

Avv. Filippo Canu