L’approvazione del “Decreto Infrastrutture” (decreto legge n.121 del 10 settembre 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 novembre) è stato accompagnato commenti sui principali quotidiani relativi al fatto che – finalmente! – anche in Italia sarebbero state vietate le pubblicità sessiste o offensive.

Il decreto modifica, tra gli altri, l’art. 23 del Codice della Strada (d. lgs. 285/1992) relativo alla pubblicità sulle strade e sui veicoli, inserendo un comma 4-bis, in cui si prevede che “è vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”. I successivi commi 4-ter e quater prevedono l’emanazione di un decreto ministeriale di esecuzione, e la sanzione per la violazione (revoca dell’autorizzazione all’affissione da parte dell’ente proprietario della strada).

Ma davvero fino ad oggi le pubblicità sessiste erano ammesse? Ovviamente no. Il codice di Autodisciplina pubblicitaria contiene, fin dal 1975, due norme specificamente volte a vietare questo genere di messaggi: l’art. 9, che vieta le rappresentazioni pubblicitarie “di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti”; e l’art. 10, rubricato “convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona”, ai sensi del quale la pubblicità “non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose. Essa deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere”.

Oltre alle norme del Codice, negli anni l’Istituto di Autodisciplina ha stipulato due protocolli d’intesa: un primo con il Ministero delle Pari Opportunità, nel 2011, volto a rafforzare la cooperazione tra le istituzioni affinché gli utilizzatori di pubblicità adottino modelli di comunicazione che rispettino la dignità delle persone in tutte le sue forme, evitando rappresentazioni violente, discriminatorie, e che siano attendi alle modalità di rappresentazione dei generi.

Un secondo protocollo d’intesa è stato stipulato con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani nel 2014, per spingere gli inserzionisti pubblicitari che utilizzano le affissioni locali (che a volte esulano dall’ambito di competenza dello IAP) ad adottare modelli di comunicazione che “non contengano immagini o rappresentazioni di violenza contro le donne; che tutelino la dignità della donna nel rispetto del principio di pari opportunità, e che propongano una rappresentazione dei generi coerente con l’evoluzione dei ruoli nella società evitando il ricorso a stereotipi di genere offensivi”.

Insomma, fortunatamente in Italia le pubblicità sessiste o offensive sono ritenute illecite da più di 40 anni. La riforma del Codice della strada non pare aggiungere molto alla situazione attuale. Rimane da vedere come verrà data applicazione alla norma, col decreto ministeriale che dovrà essere adottato entro 90 giorni dall’entrata in vigore della riforma.

Avv. Chiara Pappalardo